“La Patria di un maiale è dappertutto dove ci sono ghiande”. François de Salignac de la Mothe-Fénelon
Per chiunque abbia almeno qualche anno alle spalle, che gli regali qua e là un capello un po’ più grigio, il mito del boom economico degli anni ’60 continua ad essere il punto di riferimento con cui confrontarsi ogni giorno, nella speranza mai vana, che presto o tardi l’Italia si possa imbattere nuovamente, in una crescita economica generalizzata, in un miraggio di benessere collettivo, o più semplicemente in un domani migliore.
Quel tempo ormai lontano, in cui l’economia post-bellica fatta di stenti e privazioni venne soppiantata da quella dei consumi e degli sprechi – con la motorizzazione di massa, con il sacco edilizio delle città e con il passaggio alla piena società industriale – sembrò davvero aver portato lo sviluppo “da zero a tutto” in una manciata di anni. Le masse contadine s’illusero di essersi “imborghesite”, vestendo i panni dell’operaio e scegliendo la vita della fabbrica e il ceto medio credette invece di essere assurto a novella classe dirigente di sapore neo-aristocratico.
Già, quel tempo che oggi appare un moderno “Rinascimento” di fronte alla “Medievale” crisi socio-economico-lavorativo-culturale contemporanea, resta nei cuori di chi l’abbia vissuto e alimenta le comprensibili invidie di chi lo intenda solo da echi lontani.
Oggigiorno, stretto tra il riconosciuto immobilismo della Politica e la mancanza di un serio impegno imprenditoriale, al cittadino medio non resta che “stringere la cinghia”, accontentandosi di quel poco che abbia o che gli sia stato “lasciato in dote” da qualche lungimirante antenato e sperando bene che una botta di fortuna giunga dal cielo a cambiargli la vita! Per rinvigorire il corpo e lo spirito non servono certo i mediatici proclami Governativi, quando la realtà della gente si chiama perdita del posto di lavoro, mancanza di un tetto, fame…
“La pensione non ti basta per campare? Sei in Cassa Integrazione e prossimo al licenziamento? Vivi già in mezzo ad una strada? Hai trent’anni ed indossi tuo malgrado, i panni del “bamboccione”? Che importa, arrivano in soccorso la social card, il Bonus per il decoder TV, il bonus vacanza, ecc. ecc…”. Può apparire una farsa, ma a ben guardare è la triste verità dell’Italia di oggi. L’incapacità a risolvere le questioni che stanno destabilizzando la nostra Società, viene mascherata dall’uso artificioso di provvedimenti tampone di dubbia utilità, reclamizzati come la “manna mandata dal Signore”.
I problemi contro cui si scontrano le Italiche famiglie paiono relegati in un limbo fatto di attese, lungaggini burocratiche, preoccupazioni e polemiche, che tutto possono salvo tutelare i bisognosi.
Eppure, ad ogni alba regalataci dal Sole, ci sarebbe così tanto da fare da mettersi addirittura le mani tra i capelli (ma che siano veri, non posticci…).
E’ un gravissimo problema che le industrie decidano di chiudere, delocalizzando all’estero (magari dopo aver goduto per anni di finanziamenti pubblici) e lasciando a casa migliaia di lavoratori. La cronaca recente descrive casi eclatanti in cui – sotto il velato ricatto di alcuni managers – l’Esecutivo sia “costretto” a rinnovare specifici incentivi alla produzione (continuando in tal modo a “drogare” i mercati), o a promettere il taglio del costo dell’energia, per scongiurare la disintegrazione di storici poli industriali e la conseguente esplosione del dramma disoccupazione, preoccupante già com’è. Si insiste a “socializzare” le perdite nei periodi di “vacche magre”, continuando a “privatizzare” gli utili – come sarebbe giusto in un Paese normale – nei momenti di espansione.
Così com’è un problema, che dopo aver rischiato il tracollo del settore a causa di scelte finanziarie balorde e troppo spesso a scapito degli ignari correntisti, le banche non concedano più credito a quanti ne facciano richiesta semplicemente per lavorare, ed evitare di “chiudere baracca e burattini”. Si sta mettendo a rischio la sopravvivenza delle piccole e medie imprese Italiane – ossia il riconosciuto tessuto imprenditoriale nostrano – e con essa la vita di tanti concittadini, senza che alcun Rappresentante delle Istituzioni “sbotti” e prenda in mano le redini della situazione.
Non è forse un problema il fatto che a dispetto dei faraonici investimenti effettuati negli anni, i trasporti pubblici del Belpaese siano scandalosamente inefficienti e quando abbiano la fortuna di “fruttare” siano ceduti in concessione ad Aziende private? Mi domando a cosa serva una TAV mega-miliardaria, quando la maggioranza dei viaggiatori sia costretta a viaggiare lungo “linee lente”, stipata in carri bestiame sporchi e maleodoranti, in una deprimente consapevolezza della propria condanna al pendolarismo lavorativo. Mi chiedo perché si costruiscano nuove Autostrade e si amplino quelle vecchie, quando poi si rivelino solo delle pericolose “piste per camion”, o dei semplici svincoli per nuovi e scintillanti Outlet e perché ci si debba accontentare di viaggiare su Strade Statali “cimitero” (Romea, Pontina, Pontebbana, ecc. ecc.). E che dire delle nostre ingolfate città, ridotte ad un’accozzaglia di vie piene di buche?
Non può esser sottaciuto il problema del quotidiano salasso che gli automobilisti subiscano – in una sorta di strozzinaggio legalizzato – nel “fare benzina”. Insomma, come dire: prezzi che salgono, utili dei Petrolieri che crescono, Fisco felice e tasche che si svuotano inesorabilmente. Non vedo come si possa continuare a credere, che a qualcuno interessi veramente la tutela di chi si muova e lavori su 4 ruote… E’ l’immancabile teatrino che si ripresenta.
E’ un problema che nella terra delle emergenze ambientali, dei condoni edilizi dissennati e del dissesto idrogeologico, sempre più spesso accada che palazzi, quartieri popolari o piccole cittadine cadano a pezzi – causando morti, feriti e lacrime amare – sotto i “colpi” delle intemperie, di un terremoto un po’ troppo forte, o solo per la mancanza della “costosa” manutenzione. Ed ogni volta che capita, dal coro delle chiacchiere si alza la voce di qualcuno, che propone: “assicurazione obbligatoria contro i disastri”… Bella proposta, ma con quali denari? E per il vantaggio di quale “finanziere”?
Insomma, basta un’osservazione un po’ più oculata dei fatti, per comprendere che ormai l’Italia sia un Paese alla deriva, tra le tante promesse di una campagna elettorale permanente e il continuo sbandierare dei finti successi Politici, raggiunti nel nome del popolo Tricolore.
Negli anni’90, volenterosi di fare cassa per entrare nella comune “famiglia Europea” di Maastricht, scegliendo il sentiero delle Privatizzazioni e annunciando l’inizio dell’era delle Public companies, del Nocciolo duro e della golden share, vari Governi misero all’asta i pezzi pregiati del Sistema Italia: Banche, Società di Telefonia, dell’Elettricità e degli Idrocarburi, vennero “svendute” per fare cassa, con somma felicità di poche famiglie e dei soliti capitani d’industria “caserecci”.
Alla fine dei giochi, fieri del disastro compiuto, si liquidò l’IRI, ovvero l’Ente che prima aveva tenuto in piedi l’asse economico Italiano dopo la tremenda crisi del ’29 e che dopo il Secondo conflitto mondiale aveva rimesso in moto il meccanismo. Un Ente descritto allora come un “carrozzone” – da troppe menti falsamente illuminate e probabilmente “interessate” alla sua fine ingloriosa – che oggi possiamo solo sognare di riavere, ma che potrebbe essere una soluzione tanto pragmatica quanto vincente, di fronte agli innumerevoli mali dell’Economia.
Se disponessimo di un simile strumento, tante “criticità” potrebbero essere sanate. Si potrebbero salvare intere industrie dal fallimento salvaguardandone la forza lavoro; si potrebbero concedere i mutui ed i finanziamenti negati dagli Istituti di credito alle aziende; si potrebbe usare parte dei proventi dei carburanti per calmierarne i prezzi alla pompa e similmente si potrebbe fare con i pedaggi autostradali; si potrebbero assicurare interi paesi, città e metropoli, contro l’eventualità di disastri naturali, mediante contratti “ad hoc” tra Enti comunali e Assicurazioni Pubbliche.
Provocazioni? Neanche per idea!
Senza troppi giri di parole e con il rischio di esser tacciato per un neo-socialista, a mio avviso è improcrastinabile riproporre “più Stato e meno Mercato”, mettendo da parte le solite panzane inerenti al rispetto dei princìpi di concorrenza e al divieto di concedere finanziamenti pubblici alle imprese in crisi (perché l’U.E. vieta il ricorso ad “aiuti di Stato”). Se così non dovesse essere, tra qualche tempo potremmo trovarci a vivere una realtà fatta di sterili ed ineccepibili regole concorrenziali e decine di milioni di “senza-Reddito”, alla faccia dei nobili ideali di equità, solidarietà e bene comune.
…Salva la forma, dissolta la sostanza: la strada più breve per la Rivoluzione.
D.V.