L'arcobaleno, il nostro simbolo di speranza, rinascita e trasformazione… Il nostro obiettivo comune.

L’arcobaleno, il nostro simbolo di speranza, rinascita e trasformazione… Il nostro obiettivo comune.

“La migliore politica è far Politica”. (D.V.)

Incipit. Come tanti cittadini dei nostri tempi, quando penso alla Politica sono sempre combattuto: da un lato l’importanza della Partecipazione e dell’impegno in favore del proprio Paese; dall’altro, un innegabile senso di vero e proprio schifo.

Tutto è cominciato laddove l’acqua nasce, scorre e (nonostante la Crisi) arricchisce la comunità…

Era l’inizio di Aprile, quando quasi per caso, mi fu messo fra le mani un volantino come tanti… Di quelli, per intenderci, che finiscono per intasare la cassetta delle lettere e che io, usualmente, accartoccio distrattamente senza leggere. In effetti, odio la pubblicità!

Stranamente però, in quest’occasione feci un’eccezione – magari per volere del fato, o magari, per il suo insolito colore Verde “speranza” – e lessi da cima a fondo le parole, le riflessioni, le proposte che ivi erano elencate e soprattutto, accettai l’invito che riportava.

L’idea di fondo era semplice: partecipare ad un’assemblea pubblica, per decidere se e come costituire una lista civica, da opporre all’Amministrazione uscente (emanazione del PD, ndr), alle successive elezioni del 25 Maggio 2014.

Messo da parte il mio consueto scetticismo e la polemica sterile, limitata alle mura domestiche e ai “dibattiti da bar” con gli amici, con “armi, bagagli e buone intenzioni” inviai un’e-mail all’indirizzo segnalato e dopo qualche ora ricevetti una risposta.

Il mittente era G.M., noto imprenditore del mio Comune, di cui avevo sentito parlare ma che non conoscevo, se non per l’esser stato a capo della Minoranza, in seno al Consiglio Comunale dell’ultima Legislatura. Egli mi disse subito, che avrebbe avuto piacere d’incontrarmi per discutere del progetto. 

Un po’ titubante, mi presentai alla prima riunione, il giorno stabilito, all’orario prefissato. I punti fermi su cui avrei appoggiato la mia disponibilità? Né Matteo Renzi, né Silvio Berlusconi sono mie fonti d’ispirazione. Ergo: se costoro fossero stati i “fari” dell’iniziativa, per quanto in ambito locale, mi sarei tirato indietro. Nessuna remora invece, ad accettare un impegno col M5S.

Varcata la soglia della sala conferenze, uno sparuto gruppo di persone era in attesa che altri “coraggiosi” si facessero avanti. Feci pochi passi e mi presentai. Subito si alzò in piedi il fautore della riunione che mi venne incontro e mi porse la mano con un sorriso sulle labbra. In poche parole, spiegai le ragioni della mia adesione. Poi mi sedetti ad ascoltare. Dopo tutto sono uno scrittore, buon uditore e non proprio un grande oratore (idea che, con sommo piacere, di lì a qualche giorno avrei visto ribaltare).

Quando fu chiaro che non si potesse andare oltre le due dozzine di presenti, fatte le opportune premesse, fu avviato un civile dibattito. Ciascuno espose la propria idea, sul perché fosse giusto mettere assieme una formazione davvero trasversale, che evitasse sul nascere l’ipotesi che gli elettori si presentassero innanzi all’urna, con un unica scelta.

Alla fine, microfono alla mano e voce tremante, espressi il mio pensiero: “abbattere il muro che separa la gente dall’Istituzione Comunale; dire basta al nulla fattuale e al clientelismo; dare un futuro alla cittadina e speranza ai giovani”… E citando prima il “fu” Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e poi (senza dire il suo nome, ndr) un Gianfranco Fini d’annata, aggiunsi: “Ad altri cinque anni di questa Amministrazione incapace, io non ci sto (…) Facciamo in modo che ognuno dei nostri voti, rappresenti una picconata al Sistema”. Applausi… Addirittura!

Quella sera, furono piantati i primi paletti: Si, ad un’alternativa da presentare all’elettorato e si all’indicazione del candidato Sindaco (individuato come logica voleva, in G.M., con l’appoggio di tutti i presenti).

Dopo qualche giorno, visti i tempi strettissimi, ci ritrovammo nello stesso luogo (una bellissima chiesa sconsacrata, trasformata in sala multimediale, in pieno centro storico, ndr), per definire sia il nome da dare al gruppo, sia i dodici cittadini da “mettere” in lista, chiarendo immediatamente che non ci sarebbe stato spazio per posizioni estremiste, tanto di Destra, quanto di Sinistra, né per individui aventi carichi pendenti con la Giustizia.

Con metodo degno della più “vera” Democrazia, non ci fu designazione diretta da parte del candidato Sindaco, bensì un voto incrociato tra i potenziali eleggibili. Alla fine, anch’io fui della partita, combattuto tra un sentimento di orgoglio e il timore di non essere all’altezza.

Con l’occasione, fu approvata la proposta di realizzare un Simbolo recante l’effige stilizzata dell’Arcobaleno, in ragione dei suoi molteplici e variegati significati: speranza, rinascita e trasformazione su tutti.

Mentre i giorni passavano e la piazza (quella principale, ndr) si riempiva, la competizione cresceva. E poiché il Paese è piccolo e come è ovvio (seppure illogico) che sia, la gente mormora, dall’opposto schieramento non tardarono ad arrivare “note di biasimo”, a me indirizzate, del tipo: “ma come? Non eri di Sinistra”? La mia risposta, ribadita a più riprese, molto semplicemente fu: “Perché, secondo te il PD è un Partito di Sinistra? Se ne sei convinto davvero, credo che Antonio Gramsci ed il compianto compagno Enrico Berlinguer, si stiano rivoltando (per l’ennesima volta, ndr) nella tomba (…) E comunque sia, sì, sono di Sinistra come può esserlo soltanto il secondogenito di una coppia in cui il marito era operaio e la moglie casalinga. E certamente, lo sono più di te”. Insomma, fu un po’ come dire: sciacquati la bocca…

Dopo altri due incontri, fu aperta anche la sede del nostro Comitato, il quale avrebbe avuto il compito di promuovere tra la gente, il Programma della nuova formazione politica. Insomma, le cose ingranavano e le cose parimenti giravano nel verso giusto, nella migliore tradizione della (rara) Partecipazione dal basso, priva d’ingombranti sovrastrutture di Partito.

Il Programma. Strano ma vero, l’intero testo fu messo nero su bianco dagli esponenti di lista, oltreché da qualche volenteroso, capace ed impagabile “simpatizzante”, via internet. Ciascuno era libero di dire la sua, integrando, correggendo il testo e perché no, contestando civilmente l’altrui aggiunta, ora per ora, sfruttando il proprio tempo libero e una semplice connessione web.

Una volta che fu stesa la versione definitiva, venne il tempo di presentarlo agli elettori, assieme a noi candidati. Di lì a poco, avrei dovuto mettere da parte la paura che stringe lo stomaco e vestire i panni di un “Cicerone” fra tanti, con l’obbligo di non sbagliare, di dire il vero e di convincere i potenziali elettori. La parola d’ordine con cui mi davo coraggio era: “spirerà aria nuova, in questo Paese deserto e senza vento”… 

In vista del mio primo “comizio”, definii pian piano i punti su cui avrei fatto leva. Ciò mi aiutò non poco e l’impatto con la platea fu migliore di quanto avessi potuto immaginare, specie perché, avendo dovuto parlare per ultimo, la tensione aveva finto per raggiungere dei picchi assai elevati; “stellari” anzichenò!

Alla seconda occasione, d’altro canto, non avendo avuto sentore di dovermi nuovamente appellare alla “bontà del pubblico”, improvvisai con successo un discorso degno del miglior “politicante” della prima ora (con la “piccola differenza” di essere veramente onesto, ndr) e con il peso, non secondario, di doverlo esporre davanti alla telecamera.

I giorni seguenti furono frementi. Prima giunsero i “santini”, poi i pieghevoli da consegnare alle persone. Senza contare la necessità di mettere da parte un po’ della propria dignità, andando a chiedere il voto casa per casa, sulla falsariga dei troppi, insopportabili, professionisti della Politica.

E proprio mentre la “carriera di potenziale Amministratore” cresceva, bisognava fare i conti con la carriera professionale, mettendo in fila impegni ed orari… Uno stress non da poco.

E che dire, poi, dell’incontro con gli abitanti del mio quartiere, nel centro sociale di zona? A parte qualche voce dissonante (che edotta della mia iniziativa, aveva bollato il tutto come una velleitaria impresa legata a chissà quale interesse e proclamato il proprio appoggio ai “professionisti” della Politica, ndr), sulla carta sarebbe stata un’occasione unica per riallacciare legami e per rivedere facce di un tempo lontano, più vecchie e raggrinzite, ma di certo sempre battagliere.

Peccato che, nella migliore tradizione Italica, tra il dire (leggi “partecipazione prevista all’evento”) e il fare (leggi “partecipazione effettiva”), ci sia di mezzo il mare… Del tipo: io ci metterò la faccia (pronto nel caso, a saltare sul tuo carro), prima però, mettici la tua e vedi se riesci a vincere.

Comunque sia, settimana dopo settimana, giorno dopo giorno, venuto meno il tempo utile, trascorse le infinite ventiquattro ore di silenzio elettorale, si era giunti finalmente al dunque. Dopo aver riempito le altrui cassette della posta, come mai avrei pensato di fare; dopo aver stretto mani; ricevuto appoggio e attestati di stima; ecc. ecc. era tempo di raccogliere i frutti. L’emozione era palpabile, così come era viva e sincera la consapevolezza di poter vincere, in virtù dell’aria nuova che si respirava.

Proprio per questo, la Domenica delle elezioni evitai di recarmi al seggio al mattino presto (come sono fare da sempre, ndr), deciso a presenziarlo nelle ore serali di massimo afflusso, assieme agli altri amici della lista. Rividi facce di un passato più o meno lontano, con la speranza che un cenno con la mano, una strizzata d’occhio e una pacca sulla spalla avrebbero avuto, di lì a poco, un conseguente risvolto sulla scheda. Invece…

Invece, il giorno successivo, finito lo spoglio delle schede, la “sentenza” fu disarmante: la “vecchia Politica”, seppure con uno scarto bassissimo, aveva nuovamente prevalso. La nostra lista era giunta seconda e il mio risultato non fu affatto soddisfacente. Due colpi al cuore, nel giro di qualche secondo, amplificati dal modo scomposto con cui gli avversari avevano avuto l’ardore e la faccia tosta di festeggiare…

Or dunque, laddove l’acque nasce, scorre e (nonostante la Crisi) arricchisce la comunità, tutto era finito, inesorabilmente, così come era cominciato. Ancora una volta, un nuovo progetto, un obiettivo comune, era stato scansato…

La doppiezza delle persone, il clientelismo incancrenito, la diffidenza per la novità e la propositività, avevano nuovamente raggiunto l’apice, garantendo altri cinque anni di discussioni futili e inutili, ravvivate dalla promessa che: “però, la prossima volta”…

Cose che succedono, in parecchi “dove”, in Italia.

D.V.

P.S. Passati i giorni, sbollite a fatica la rabbia e la delusione, la promessa che mi sento di fare è questa: “qualcosa di mio lo lascerò, in questo mio tempo” (cit. Timoria, ndr). Perché la sconfitta è formativa; è un insegnamento… E di certo non non è un punto d’arrivo, bensì un trampolino verso il cambiamento!