“Agli uomini per i quali la parola «Democrazia» è sinonimo di rivoluzione, anarchia, distruzioni, stragi, ho tentato di dimostrare che la Democrazia poteva governare la Società rispettando le fortune, riconoscendo i diritti, risparmiando la Libertà, onorando la Fede; che se il Governo Democratico sviluppava meno di altri talune belle facoltà dell’animo umano (rispetto al governo aristocratico), recava tuttavia benefici grandi; e che, forse, la volontà di Dio era di diffondere una felicità parimenti mediana per tutti, e non di rendere alcuni estremamente felici e pochi soltanto quasi perfetti. Ho inteso anche ricordare loro che, quale che fosse l’opinione di ognuno a tal riguardo, non era più tempo di deliberare, poiché la Società si veniva sviluppando in una certa direzione e li trascinava con sé, tutti, verso l’uguaglianza di condizioni, sì che non restava da far altro che scegliere tra mali inevitabili. Il nostro problema, oggi, non è affatto di sapere se si può instaurare un Regime Democratico o un Regime Aristocratico, ma di scegliere tra una Società Democratica che progredisca senza grandezza ma con ordine e moralità, e una Democrazia disordinata e depravata, in preda a furori frenetici o sottoposta a un giogo più greve di tutti quelli che hanno oppresso gli uomini dalla caduta dell’impero romano fino a oggi”. (Alexis de Tocqueville)
Incipit. Indubbiamente, se c’è una “sentenza” che il popolo Italiano è stato finalmente in grado di dare, attraverso il Voto alle recenti Elezioni Politiche, è quella di “pre-morte” del Partito Democratico. Un Partito che, grazie all’atteggiamento saccente e prevaricatore di Matteo Renzi, da forza post-rivoluzionaria cui avrebbe dovuto aspirare a diventare, è assurto invece a una sorta di familistico potere reazionario. Ciò, da un lato, anteponendo al bene dei lavoratori la prostrazione e il fattuale asservimento a banchieri e finanzieri e, dall’altro, scimmiottando le peggiori politiche di Destra sia in Economia sia sul Mercato del Lavoro.
Ora, il solo pensiero che l’abortito tentativo di rendere il fu PCI-PDS-DS (più Margherita e vari altri ed eventuali, ndr) una moderna forza di Governo, abbia il diritto-dovere ovvero la facoltà di porsi quale fondamentale stampella della Maggioranza Parlamentare tuttora in gestazione, per il bene della Nazione, rappresenta un oltraggio dell’elettorato, oltreché una contraddizione in termini di Dignità.
4 Dicembre 2016 / 4 Marzo 2018. La parola data deve essere, sempre e comunque, sinonimo di Verità. In nessun caso essa può essere negata o “riformulata”, facendone un mezzuccio per accomodare, giustificare o stravolgere scelte compiute. In questa considerazione, sta la differenza tra l’opportunista e l’Uomo con la “U” maiuscola. Citando Victor Hugo: “I pertinaci sono i sublimi. Chi è soltanto audace non ha che un impulso; chi è soltanto valoroso non ha che un temperamento; chi è soltanto coraggioso non ha che una virtù; l’ostinato nel vero ha la grandezza”…
Partendo da tale principio, è innegabile che il maggior colpevole dello “sfacelo Democratico” porti il nome di Matteo Renzi. Se costui avesse rispettato l’assunto per cui: “se perdo il Referendum sulle Riforme della Costituzione, lascio la Politica”; se avesse scelto di dire addio a compagni di viaggio scomodi come Maria Elena Boschi e Luca Lotti; se avesse coscienziosamente fatto “mea-culpa” su certe decisioni prese in veste di Presidente del Consiglio; se avesse parlato di problemi e soluzioni, invece di attaccare a testa bassa gli avversari su un nulla che fosse pura propaganda elettorale; se non avesse negato l’innegabile… Magari avrebbe potuto limitare il disastro. Invece… Invece, il rottamatore, alias “io sono Mr. 40%”, ha finito per auto-rottamarsi.
Se mi guardo indietro, so per certo che il “Campione del Marketing di se stesso” non mi piaccia e mai mi sia piaciuto. Neppure quando, nell’incipit la sua “discesa in campo”, fu acclamato come novello Salvatore della Patria, contro i “suoi”, contro il Berlusconismo e contro la Crisi… Insomma, è cosa nota, ovvia e assodata: l’ex Sindaco di Firenze è il politicante “giovane” più lontano da me e dalla mia idea di Governo dell’Italia (Silvio Berlusconi lo è invece tra quelli “vecchi”, ndr). Pur tuttavia, nonostante lo aspetti ancora fiducioso che decida di cambiar mestiere, voglio esprimergli un minimo di solidarietà, visto e considerato il crescente numero di compagni di partito che gli abbia voltato le spalle. Gli stessi compagni che, è bene ricordarlo, ancora il giorno prima delle Elezioni Politiche gli si prostravano innanzi, nonostante fosse chiaro anche agli stolti, che il Voto dei cittadini avrebbe premiato M5S e Lega e incenerito il PD. Perché se c’è una cosa che proprio non apprezzo della Politica (oltre all’italica pratica del “salto sul carro del vincitore”, ndr), essa è la discesa furtiva dalla groppa dell’ex “cavallo vincente”, per di più prendendolo a vergate…
Solidarietà sì, ma a “responsabilità limitata”. Analogamente a quanto accadde nella “congiura delle idi di Marzo” – inscenata per saziare certe sue brame di Potere – quando infierì con una stilettata alle spalle di Enrico Letta, Renzi sta vivendo su di sé quel che la Storia tante volte ha insegnato, sotto forma di contrappasso, vale a dire: “chi di spada ferisce di spada perisce”. La lezione di Etica che gli tocca subire è ai miei occhi uno spettacolo grandioso e impagabile. Anche se dubito che da ciò egli possa o voglia imparare qualcosa.
The day after. Tornando al nuovo “squilibrato equilibrio” che si è creato in Parlamento tripolare, reputo impossibile, sia per il Movimento Cinque Stelle, sia per il Centro Destra, o meglio, per la Lega “Nazionale” di Salviniana ispirazione, il tentativo d’intavolare un accordo programmatico col PD “cancerogeno” di Matteo Renzi, seppure su pochi punti specificamente concordati, quando, nel recente passato, non si sia fatto altrettanto con quello “soft” capeggiato dallo “smacchiatore di giaguari” in disarmo, Pier Luigi Bersani. L’esclusione del Partito perdente da ogni iniziativa di Governo, dev’essere il “primo paletto” da tenere bene a mente. Che si assegni un incarico esplorativo a Luigi Di Maio, o a Matteo Salvini, troppo diverse le idee e troppo rischioso fare del PD una “spina” in seno a un Governo, sia cooptandolo in Maggioranza sia chiedendone soltanto un appoggio esterno. Troppo ampio il margine di “potere ricattatorio” che gli si concederebbe in tal guisa.
Senza nuove “regole del gioco” non si va da nessuna parte. Il “secondo paletto” da tenere a mente è la Legge Elettrorale. L’Italia non può permettersi di tornare al voto facendo perno su una norma scandalosa come il Rosatellum. Nel nostro Paese, in cui è fortemente radicato il Parlamentarismo, ritengo che che l’adozione di una legge elettorale Proporzionale, con sbarramento del 5%, il voto di preferenza, la determinazione della Coalizione d’appartenenza prima del voto, il “Vincolo Di Mandato” in capo agli eletti e una “Norma Anti-Ribaltone”, con decadimento automatico per chi decidesse di tradire il voto elettorale e un “limitato” premio di Maggioranza, possa essere la soluzione più equa (ovviamente, l’assenza di pendenze con la Giustizia e il limite di eleggibilità per due Legislature consecutive, dovrebbero completare il quadro, ndr). Perché la Democrazia va ponderata attraverso la giusta dose di Governabilità e di Rappresentatività.
La folle opzione di un nuovo ricorso alle Urne, poche settimane o mesi dopo il riultato del 4 Marzo scorso, è pertanto da escludersi a priori. In effetti, chi ci dice che non si creerebbe uno stallo ben peggiore di quello attuale? Se passasse l’idea del “voto minacciato continuato” si potrebbe teoricamente andare avanti all’infinito, perché ci sarebbe sempre qualcuno, perdente o vincitore, destinato a restare insoddisfatto. Senza contare che le parole recentemente proferite da Sergio Mattarella, riguardo al “senso di Responsabilità, per il bene dell’Italia”, stiano lì a dimostrare che il Capo dello Stato non sia affatto disposto a sciogliere le Camere appena elette. Da che mondo è mondo, il Quirinale riesce sempre a tirar fuori un coniglio dal cilindro, con quella che si suole definire “moral suasion”. In aggiunta, conoscendo il modo di fare e di pensare dei nostri Parlamentari, per nulla inclini a rinunciare al seggio “guadagnato” per i cinque anni a venire, una soluzione tampone si troverà di certo.
Il “terzo paletto” che chiunque salirà al Colle per le consultazioni dovrà avere bene in vista, è l’impossibilità di soffrire a lungo la mancanza di un Esecutivo nella pienezza delle sue funzioni, soggiacendo alla moda internazionale del momento (come recentemente hanno sperimentato Belgio, Grecia, Spagna e Germania).
Nonostante i tanto vituperati Mercati fino ad ora siano rimasti alla finestra, evitando di affossare il Paese a “forza di spread” e sebbene le odiose ed odiatissime Agenzie di Rating non abbiano variato la propria valutazione finanziaria e il rischio Paese, Roma non può rimanere troppo a lungo priva di una “nuova” Amministrazione che si proponga con forza innanzi al consesso internazionale.
“Terroristi” dello Status Quo. A dispetto delle indicazioni chiaramente espresse dagli Italiani, c’è sicuramente più di un “qualcuno” già impegnato anima e corpo a “remare contro”, nell’intento d’impedire che la “Rivoluzione delle urne” si concretizzi, di riflesso, nella vita quotidiana. Potentati industriali, portaborse con smanie di Potere, Politicanti della vecchia e vecchissima guardia… Facendo un nome a caso, immagino la frenetica attività di un “puparo della Politica” come l’ex Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che , dietro le quinte, ancora scosso per la duplice vittoria “populista”, starà facendo del tutto per inventarsi una Maggioranza trasversale che perseveri nell’esclusione dei pentastellati da ogni incarico governativo. Meglio insomma forzare le cose, accorpando una Destra a guida leghista (la Lega è pur sempre un Partito ormai “consolidato” nel Sistema, ndr) con una Sinistra bastonata e perdente, piuttosto che cedere il passo a un movimento-non-più-movimento antisistema, per di più guidato da un giovanotto troppo giovane per l’Italica “gerontocrazia”.
Spero proprio che a tale ipotesi, che già di per sé fa accapponare la pelle, Matteo Salvini dica no. Dopo tutto, egli è destinato a rappresentare il leader del Centro-Destra per gli anni a venire. Specie quando si consideri che, pur augurandogli lunga vita, Silvio Berlusconi sia, causa ragioni anagrafiche, un “morto che cammina” e che non vi sia un esponente di Forza Italia in grado di prenderne le redini, allorquando l’ex-Cavaliere finirà per abbellire, da dentro, il proprio faraonico mausoleo. Non essendoci insomma un “democristiano” alla Franco Frattini, non a caso in passato indicato come successore dell’Uomo di Arcore, il partito-azienda sarà cannibalizzato, o per meglio dire fagocitato dalla Lega. In un mondo incattivito dagli eventi, i moderati sono destinati a diventare una sparuta minoranza, o, peggio, a divenire parte, risibile e residuale, delle ali estremiste in costante crescita di consensi.
Così come alla Lega non conviene compromettersi col PD, per le distanze siderali in materia di Previdenza, Europa, Sicurezza ed Emigrazione, al M5S non è affatto utile perseverare nella ricerca di un accordo con esso, principalmente per la loro rispettiva, diversa “considerazione del cittadino”. Al PD dei banchieri fa da contraltare il M5S dei correntisti e dei risparmiatori; al PD del “Jobs Act” si contrappone il M5S del Reddito di Cittadinanza… Il PD dei “salotti radical chic” e dell’Air Force Renzi dev’essere considerato un triste passato. Meglio guardare oltre.
And the winner is… All’indomani del responso elettorale, qualcuno ebbe modo di affermare che per Luigi di Maio sia stato come aver vinto un Oscar, senza però avere avuto la possibilità di ritiralo… Ecco, partendo da tale condivisibile paragone, credo che per lui la migliore soluzione sia quella di lasciare strada a Matteo Salvini. Dovrebbe comportarsi come il Socio di Maggioranza di una Società per Azioni, che pur partecipando alla determinazione del Management, lascia la gestione dell’Azienda al CEO di turno. Ciò, sempre con la possibilità di sfiduciarlo in seno all’Assemblea e di mandarlo a casa.
Un Governo a termine (ma senza scadenza). Il nostro Paese “merita” un Rassemblement pour la République “Giallo-Verde”, che, partendo dalle basi comuni, una volta “limati” i rispettivi spigoli programmatici, cominci ad edificare la Nazione del domani, meno burocratica e meno asservita al Capitalismo di Provincia, ma, parimenti, più capace di farsi rispettare da Bruxelles e più vicina ai bisogni socio-economici dei cittadini. Dopo la sciagurata, ridicola stagione della “Grosse Koalition” all’italiana, realizzatasi con il Governo Monti, non troverei affatto scandaloso un’unione, per quanto potenzialmente temporanea, di due forze politiche meno lontane di quel che sembri.
Riposti gli slogan e le schermaglie da Campagna Elettorale, allorché ci si siederà, finalmente, per discutere delle innumerevoli cose da fare e dei troppi problemi da risolvere, si potrà avere ben chiaro se sia davvero la volta della nuova, attesissima e fin troppo auspicata “Italia 2.0”.
Che Dio ce la mandi buona. Almeno stavolta!
D.V.