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“Nulla è di per sé veleno, tutto è di per sé veleno, è la dose che fa il veleno”. Paracelso

Alcuni giorni or sono, durante un incontro presso l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), l’Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali (OSMED) ha diffuso dei dati impressionanti inerenti al consumo di farmaci nel nostro Paese.

Lo studio ha evidenziato che nel 2008 l’uso di medicine sia cresciuto del 4,9% rispetto all’anno precedente e addirittura del 60% rispetto al 2000. Ha poi dimostrato che ogni 1000 abitanti siano state prescritte 924 dosi quotidiane di farmaco (nel 2000 erano 580), che le donne abbiano assunto l’8% di medicinali in più rispetto agli uomini e che 8 bambini su 10 si siano visti intestare almeno una ricetta.

Tutto ciò si è tradotto in una spesa totale – comprendente la prescrizione territoriale e quella erogata da ASL e strutture ospedaliere – di circa 25 miliardi di Euro (24,4 per l’esattezza).

Analizzando tale spaventoso ammontare – rimborsato al 75% dal Servizio Sanitario Nazionale, attraverso le Regioni – consegue che ciascun Italiano abbia mediamente “bruciato” ben 410 Euro per curarsi e che un cittadino over75 abbia speso una cifra 12 volte più elevata, di quella riguardante una persona tra i 25 ed i 34 anni di età.

Le patologie più “bersagliate” sono state quelle Cardiovascolari, quelle Gastrointestinali e quelle del Sistema nervoso centrale, (figlie di vizi e stravizi del moderno stile di vita occidentale).

I dubbi sulla reale utilità e sull’effettiva necessità di quest’abuso, non sono affatto pochi.

Una buona notizia, per così dire, concerne il maggiore ricorso ai farmaci equivalenti (i cosiddetti “generici”) che hanno visto salire al 43% le proprie prescrizioni, in conseguenza della scadenza dei brevetti di alcuni principi attivi – che ha “allargato” l’offerta – e forse delle rare ma preziose campagne informative, circa la loro eguale efficacia rispetto ai corrispondenti “di marca“.

Personalmente, per frenare il “salasso” di denaro, nonché l’intossicazione di tanti ipocondriaci più o meno consapevoli, impedirei anzitutto l’utilizzo di aromi dolci e gradevoli al palato, nella formulazione dei prodotti (ad es. sciroppi e bustine in soluzione). In effetti, credo che introdurre gusti “neutri” o “amari” farebbe riprendere coscienza di quanto sia stupida l’assunzione scellerata di sostanze sconosciute, senza il consiglio di un dottore. Illustrerei inoltre i rischi del fai-da-te, ad anziani (nei centri di ritrovo) e giovani (a scuola) e vieterei la pubblicità delle specialità farmaceutiche.

Il solo concetto di mercato del farmaco indica, a mio parere, che vi sia qualcosa da rivedere. Non si ha a che fare con cioccolatini e bon-bon, bensì con prodotti chimici che possono rivelarsi molto pericolosi.

In un Paese che si “gusta” questo o quell’Antidolorifico per colazione, che affronta le difficoltà della vita “coccolandosi” con l’ultimo Antidepressivo di moda, in cui il passaparola circa la maggiore efficacia di una pillola o dell’altra la fa da padrone, in cui spesso le ricette riguardano persone decedute da decenni e via discorrendo, è forse bene ricordare che il caffè si ordini al bancone del bar e non certo in farmacia

D.V.