Il vessillo "guerriero" della Serenissima Repubblica di Venezia, che la Storia racconta essere stata il bastione contro l'avanzata Islamica verso l'Europa, guidata dall'Impero Ottomano.

Il vessillo “guerriero” della Serenissima Repubblica di Venezia, che la Storia racconta essere stata il bastione contro l’avanzata Islamica verso l’Europa, guidata dall’Impero Ottomano.

“Ogni Veneziano della flotta sapeva che gli Ottomani stringevano d’assedio la città di Famagosta a Cipro. La capitale dell’isola, Nicosia, era caduta pochi mesi dopo l’invasione avvenuta nel Luglio 1570. Ventimila abitanti massacrati quando le truppe Turche dilagarono in città, e il resto degli isolani si sottomise per evitare lo stesso destino. Solo la piccola città di Famagosta rifiutò di arrendersi e resistette, nella speranza di ricevere soccorsi via mare. Poche ore dopo la caduta di Nicosia, i cavalieri Turchi giravano intorno alle mura di Famagosta, sbeffeggiano gli abitanti con le teste dei cittadini più in vista di Nicosia infilzate sulla punta delle lance. Ma il governatore di Famagosta, Marcantonio Bragadin, aveva preparato il suo comando a resistere a un lungo assedio e si capì subito che la città non avrebbe ceduto, nonostante l’esempio spaventoso del destino di Nicosia. All’inizio della primavere del 1571 più di 100.000 Turchi si raccolsero intono a Famagosta. Sembrava difficile che potesse resistere a lungo. Ma per quattro mesi i 4.000 difensori respinsero ogni assalto fino a che nel Luglio 1571 gli attaccanti riuscirono ad aprire delle brecce in sei punti delle mura, mentre le truppe della guarnigione di difesa erano ridotte ormai agli ultimi barili di polvere da cannone. Davanti alla prospettiva di una sconfitta ormai certa, Bragadin cercò una resa onorevole. I termini concordati il 1° Agosto con il comandante Ottomano, Lala Mustafa, furono insolitamente favorevoli: i Veneziani ottennero protezione per i cittadini superstiti, mentre la guarnigione sarebbe stata evacuata e trasferita nell’isola Veneziana di Creta. I Turchi avevano perduto più di 50.000 uomini nelle operazioni  per conquistare Nicosia e Famagosta. I termini dell’accordo erano generosi, soprattutto tenuto conto dei massacri di Nicosia. Il 4 Agosto Lala Mustafa convocò Bragadin e il suo seguito al proprio campo. Il governatore Veneziano, vestito della toga purpurea dei senatori, uscì a cavallo da Famagosta sotto un parasole decorato (contro i raggi infuocati) alla testa dei suoi ufficiali e con una guardia del corpo di quaranta archibugieri (…) Nel corso dell’incontro, il capo Ottomano lo accusò di aver rotto l’accordo per la resa della città, e chiese degli ostaggi. Bragadin rispose che questo non era nei patti. Quindi, a un segnale precedentemente concordato, alcuni giannizzeri si precipitarono nella tenda e sopraffecero i Veneziani. All’esterno, la scorta del senatore era già stata disarmata (…) Gli Ottomani di solito ripagavano la resistenza con la morte, e che ai difensori della città fosse consentito di ritirarsi con le loro armi in pugno e le bandiere al vento non aveva quasi precedenti. In occasioni analoghe gli Ottomani avevano invariabilmente massacrato o ridotto in schiavitù il grosso dei prigionieri, risparmiando solo i pochi per i quali poteva essere pagato un riscatto, o qualcuno che potesse portare indietro ai loro nemici e notizie terrificanti (…) A Famagosta i Veneziani stavano interpretando un ruolo lugubre ma di cui erano perfettamente consapevoli in un cruento dramma tradizionale (…) Gli ufficiali e il seguito di Bragadin furono decapitati davanti a lui, sicché il rivolo di sangue scorrendo sopra il suolo secco e indurito andò a lambire i suoi piedi. Poi, lui stesso fu sfigurato ritualmente, gli furono tagliati naso e orecchie come un criminale comune. Medici dell’esercito Turco (…) si accertarono che le ferite non si infettassero. Bragadin fu curato (…) in modo che recuperasse le forze. Intanto, i suoi soldati superstiti (…) furono presi e fatti schiavi, incatenati mani e piedi ai remi nelle galee Ottomane. L’atto finale fu inscenato per dileggio nei confronti dei Veneziani e per spogliare il loro comandante di tutti gli attributi di nobiltà (…) Bragadin fu condotto davanti ai soldati rivestito ancora della sua toga di senatore. Costrettolo carponi sulle mani e le ginocchia, gli fu messa addosso una sella di mulo, con le briglie e il morso in bocca. Appese alla sella, gli furono caricate due pesanti ceste piene di terra, in modo da essere piegato sotto la soma. Quindi fu costerno a trasportare la terra per riparare le brecce aperte nel terrapieno dai cannoni Ottomani (…) frustato e insultato (…) davanti alla tenda del comandante Ottomano era obbligato a prostrarsi e a mangiare un boccone di terreno secco (…) Fu messo a penzolare in catene, senza naso e orecchie, e lasciato lì a torcersi sotto il Sole infuocato (…) fu condotto alla piazza del mercato, dove fu legato e frustato pubblicamente in modo che tutta la popolazione di Famagosta fosse testimone della sua umiliazione. Quindi, nel primo pomeriggio, dopo averlo “appeso per i piedi come una pecora”, un macellaio Ottomano cominciò lentamente a scorticarlo vivo, facendo attenzione a rimuovere la pelle senza che si lacerasse. La cronaca racconta che Bragadin morì quando il coltello dello scorticatore raggiunse l’altezza dell’ombelico. Completato l’orripilante lavoro, il macellaio grattò la pelle per ripulirla dal grasso. Lala Mustafa e le sue truppe seguirono tutta l’operazione in silenzio. Il giorno successivo la pelle di Bragadin fu imbottita di paglia ed elegantemente cucita come una enorme bambola. Montato sul suo cavallo, il simulacro di Bragadin fu fatto sfilare per le strade sotto il parasole senatoriale, in una parodia della sua partenza dalla città (…) Fu quindi appeso al pennone estremo della galea di Lala Mustafa, ed era ancora lì ciondolante come una bandiera, ma oramai scurito dalla lunga esposizione, quando il trionfante conquistatore di Cipro ritornò nelle acque del Corno d’Oro. La sua destinazione finale fu la galea prigione di schiavi a Costantinopoli, dove rimase appeso come muto ammonimento a chiunque pensasse di resistere o di ribellarsi”. (tratto dal libro “Infedeli. 638-2003: il lungo conflitto fra Cristianesimo e Islam”, di Andrew Wheatcroft).

Incipit. Ho sempre ritenuto che l’Europa “dei dodici” fosse già di per sé un’esagerazione amministrativa e geografica. Ben oltre le differenze idiomatiche e fonetiche, troppo diversi erano le leggi, gli usi, i costumi e gli interessi politici ed economici in gioco. E troppo diffusi erano i comuni e reciproci pregiudizi. Si sarebbe dovuto lavorare duramente e lungamente per serrare le file di quella “sporca dozzina”, invece si è preferito “guardare” ad Est, in maniera scriteriata e insensata. E oggigiorno, “prigioniero” di una UE che viaggia spedita verso i trenta Paesi aderenti, il mio punto di vista trova conferma nella triste e scricchiolante realtà dei fatti.

Avremmo dovuto vivere in un “sogno realizzato”. Nel sogno dei politici illuminati che in passato, negli anni ’50 del secolo scorso, si sedettero attorno a un tavolo giurandosi l’un l’altro: “mai più guerre”. Invece, tra ragioni delle Banche, schematizzazioni economico-finanziarie, sopraffazioni burocratiche e privilegi di casta, in quanto cittadini ci troviamo a sopravvivere in un’accozzaglia informe e decrepita, dubitando del nostro presente, prima ancora che del nostro futuro.

Per tali ragioni, la sola idea che a Bruxelles e dintorni, vi sia chi si adoperi alacremente per aprire i cancelli a un gigantesco pezzo d’Asia prospiciente il Vecchio Continente, m’inquieta parecchio… Come dire: accettare l’intera Turchia “da questa parte dei Dardanelli”, significherebbe dare il colpo di grazia a qualunque “velleità unitaria”, negando nel contempo la storica, vera e indiscutibile diversità culturale tra noi e le “rovine” del fu Impero Ottomano (senza considerare quelle, profonde e contrastanti, di natura religiosa, ndr).

Recep Tayyip Erdoğan, Presidente della Repubblica di Turchia. Col suo personalismo e le sue tendenze autoritarie, più che un Capo di Stato è un moderno Tiranno tra i tanti.

Recep Tayyip Erdoğan, Presidente della Repubblica di Turchia. Col suo personalismo e le sue tendenze autoritarie, più che un Capo di Stato è un moderno Tiranno tra i tanti.

Determi-NATO. Ad un occhio poco esperto, o distratto, lo slittamento ad Oriente dell’Europa potrebbe dunque apparire come un’ulteriore concessione della Politica all’Economia globalizzata, alle ragioni della Finanza, del Commercio e dell’Industria. Certamente è così, ma soltanto limitandosi ad osservare la “superficie” delle cose. Guardando sotto alla cenere, covano silenti ben altre ragioni. Ragioni che possono riassumersi, semplicemente, nel consolidamento delle basi che sorreggono la “teoria delle sfere d’influenza”.

E’ un fatto assodato che gli Stati Uniti ragionino da super-potenza mondiale e che, in tale veste, “adeguino” e “adattino” gli Alleati, alle proprie scelte di geopolitica. Parimenti, è un fatto assodato che Washington si dica da sempre d’accordo con un accrescimento sovranazionale Europeo, che, dopo aver interessato i Paesi dell’ex blocco Sovietico, tocchi anche la Turchia. 

Chiaramente, se nel primo caso ciò è stato soltanto il concretizzarsi di un puro “calcolo diplomatico”, volto ad allargare la ragnatela della NATO in quello che per Mosca, fu lo zerbino sull’uscio di casa, nel secondo, viceversa, si avrebbe un ribaltamento consequenziale: l’unico Paese musulmano dell’Alleanza Atlantica, “premiato” con l’ingresso nell’Unione Europea.

Scopo comune: rafforzare la colossale tenaglia politica e militare che stringe quegli Stati che possano virtualmente rappresentare una minaccia per la Sicurezza Nazionale… Di quella a stelle e strisce, naturalmente.

Il lato positivo di uno spocchioso. Se c’è un leader che per la sua aria saccente non ho mai sopportato, egli non può non essere che Nicolas Sarkozy. Posto che ancora oggi vedrei con favore un’azione giudiziaria del TPI contro l’ex-Presidente Francese, per la sua scelta unilaterale di attaccare la Libia (decisione presa per fare le scarpe al dispotico Muammar Gheddafi, per motivi che, tra un “finanziamento politico” e l’altro, finiscono in un mare di Oro Nero, ndr), devo riconoscere di aver sempre condiviso il suo “no” all’ingresso della Turchia in Europa, dichiarato al mondo nel 2009, respingendo le pressioni di Barack Obama e di Angela Merkel.

Ovviamente, la mia ferma contrarietà è sempre lì, decisa, inflessibile e non contrattabile. Soprattutto dopo la promessa fatta ad Ankara di “riaprirle le porte”, nel momento in cui le si concedevano ben tre miliardi di Euro (sfilati dalle tasche dei contribuenti, ndr) con la scusa di aiutarla ad arginare il flusso di profughi verso le nostre coste…

Già perché, da Parigi a Berlino, passando per Londra (con Roma come sempre a ruota, ndr) mentre si studiano i tempi e i modi per gettare il ponte “dall’altra parte”, si accetta di svuotare la borsa, innanzi al ricatto di non chiudere più i confini alla marea umana che “scivola” da questa parte del mondo, finanziando il più grandioso “campo di concentramento” a cielo aperto mai nemmeno ipotizzato.

Ora, inorridito dai balbettamenti di Matteo Renzi e di buona parte del Governo Italiano, la domanda che mi pongo è: “Possibile che si debba giungere all’assurdo, di dover auspicare che un impetuoso “vento di Destra” cominci a spirare in seno alle Nazioni, così da comprendere la scelleratezza di ampliare a dismisura l’accordo di partenariato in vigore”?

La nostra Sicurezza di domani, affonda le radici nella pragmatica razionalità di oggi. A buon intenditor…

“No” all’incubo Eurabia. Mentre statisti, economisti, giornalisti e polemisti c’inondano con le loro opinioni, tutte diverse, eppure, sovente, tutte immancabilmente uguali, riguardo alle ragioni che m’inducono a respingere l’ipotesi di adesione della Turchia all’UE, non vi sono contrapposizioni ideologiche, bensì verità logiche, prima delle quali: non sono disposto a piegarmi al definitivo snaturamento di quel che sono.

Dico No, perché non si tratta con un Paese che non riconosca di dover chiudere i conti con la Storia, rifiutando d’ implorare perdono, per il Genocidio degli Armeni, compiuto giusto cent’anni fa. Abituati come siamo a parlare esclusivamente del male assoluto (l’Olocausto degli Ebrei, ndr), sembriamo dimenticare che un milione e mezzo di persone chieda ancora Giustizia, pentimento e risarcimento. Beh, io non dimentico. Come si può pensare d’intavolare delle trattative con un Governo che non soltanto respinga il termine Genocidio, ma che persegua penalmente chiunque “osi” parlarne?

Dico No, perché non si tratta con un Paese che anziché contrastare lo Stato Islamico, preferisca regolare i propri conti di Politica interna, a suon di bombe, a spese dei Curdi. Distratta com’è dalle discussioni conseguenti alla vile strage di Parigi, l’Opinione Pubblica pare bearsi nell’ignoranza di cosa dovrebbe essere, o meglio, di cosa sia il Kurdistan e di cosa abbia significato la sciagurata scelta di tanti decenni fa, di tracciare i confini del Medio Oriente con un banale righello.

No, perché non si tratta con un Paese che ammetta l’omicidio politico dell’avversario, a vantaggio del Potere costituito e che poi mascheri tutto come una guerra tra bande della stessa parte della barricata.

No, perché non si tratta con un Paese che si adoperi quotidianamente per la censura del dissenso e della libera informazione.

No, perché non si tratta con un Paese che dopo quarant’anni in barba al Diritto Internazionale, occupi ancora, militarmente, l’isola di Cipro.

No, perché, sconfinamento voluto o meno, non si tratta con un Paese che con la scusa della difesa del proprio spazio aereo, decida impunemente di abbattere un caccia la cui bandiera rappresenti un Paese (la “pericolosa” Russia di Vladimir Putin, ndr) con cui non sia in corso un conflitto armato. Specie quando il suo probabile proposito sia di nascondere gli oscuri traffici commerciali intavolati con quello che dovrebbe essere il comune nemico (il Califfato, ndr), fregandosene bellamente del rischio di poter scatenare, causa scelte belliche azzardate, la Terza Guerra Mondiale!

No, perché non si tratta con un Paese a concreto rischio di deriva Islamista, che abbia a capo un estremista “in giacca e cravatta” che porta il nome di Recep Tayyip Erdoğan, moderno Lala Mustafa… Un Personaggio per il quale l’autoritarismo e il personalismo rappresentano il pane quotidiano (assieme a uno spregiudicato affarismo familiare da nascondere contro i ficcanaso del sempre meno autonomo e libero Potere Giudiziario, ndr), capace di fomentare il fondamentalismo, di rifiutare la “modernità laica” imposta dal regime di Kemal Atatürk e di modificare la Costituzione con l’intento di fare del suo Paese l’ennesimo stato confessionale prostrato ai dettami del Corano e della Sharia

No, soprattutto, perché non si tratta con un Paese di 75 milioni di persone la cui devozione ad Allah rappresenti un attentato certo, alle indiscutibili “radici Cristiane” che, volenti o nolenti, “nutrono” il Vecchio Continente. 

E No, infine, perché una volta aperta la porta, sarà impossibile tornare indietro. Con tutte le deleterie conseguenze del caso… 

D.V.

P.S. …Non ultima, quella di vestire prima o poi, i panni di un novello Bragadin.