“Diffidate di chi viene a mettere ordine”. Denis Diderot
Di fronte ai grandi eventi della Storia, lo scorrere del tempo non può essere che una congettura.
Sembra appena ieri e invece sono trascorsi più di otto anni dall’inizio della guerra in Afghanistan e nella società della comunicazione inutile e “sovrapponibile”, che a stento concede il tempo per farsi un’opinione, questa è davvero una notizia.
Effettivamente, buttando un occhio al calendario è strano realizzare quanto sia lontano il giorno in cui l’asse Anglo-americano, guidato da George W. Bush e Tony Blair, scelse la via delle armi per spazzar via i Talebani e per catturare il “riconosciuto” responsabile dell’attacco all’America e loro “protetto”, Osama Bin Laden.
Così come gelido è il brivido che corre lungo la schiena, ogni volta che ci si soffermi nuovamente a osservare, le immagini dei millenari Buddha di Bamiyan che crollano sotto i colpi di un cannone, armato da “medievali” smanie ideologiche e religiose; a scorrere fotogramma per fotogramma, gli aerei che si disintegrano contro le Torri Gemelle; a guardare in silenzio, le ceneri fumanti che imbiancano New York nel dopo undici Settembre…
Sentimenti che s’inseguono, si accavallano e che difficilmente si riescono a spiegare con i lumi della ragione. Sensazioni che rimandano alle persistenti incertezze di un oggi, che fatica a scrollarsi di dosso gli strascichi di decisioni politiche affrettate, impantanato com’è nella ricerca spasmodica di una soluzione efficace e definitiva per la “questione Afghana”.
Nel mezzo degli eventi, solo caos, miseria e desolazione.
Anni in cui a prendere il sopravvento sono stati gli sterili tentativi di “bonifica e pacificazione”, attuati con incursioni aeree e bombardamenti devastanti, buoni solo per la sperimentazione di nuove armi iper-tecnologiche (ma affatto intelligenti), o attraverso operazioni tattico-strategiche dai nomi altisonanti come Khanjar o Mushtarak, che hanno portato un’ecatombe di civili inermi e solo miserrimi graffi ad uno scaltro ed affatto arrendevole avversario. Anni in cui non si è saputo far di meglio che allestire una “green zone” super-sicura colabrodo – asservita ad alimentare la sete di potere e denaro di Governanti fantoccio – o coprire agli occhi del mondo le troppe ed indicibili vittime del “fuoco amico”, gli scandali finanziari e le morti sospette che hanno reso più “torbide le acque”…
Interminabili battaglie ed oscure azioni di sabotaggio, sanguinose e inconcludenti, compiute tra passi montani e deserti sassosi, chiamati Helmand, Waziristan, Herat, Tora Bora…
Anni in cui si è addirittura trovato il tempo per “donare” al vicino Iraq una Democrazia caracollante, nel nome di un’effimera Libertà di facciata…
Fiumi di sangue e d’inchiostro, tonnellate di munizioni lasciate sul campo, migliaia di “body bag” rispediti a casa avvolti da una bandiera, finché finalmente, all’improvviso, è tornata a parlare la diplomazia!
Il riferimento alla Conferenza di Londra, che alcune settimane or sono ha visto confrontarsi – seppure in maniera un po’ raccapezzata – il Governo Afghano, la Comunità Internazionale e alcuni rappresentanti di secondo piano dei Talebani, è puramente voluto.
Tale avvenimento, che ha comunque avuto il merito di rimettere in gioco la forza delle idee e delle parole, a fianco di quella dei missili e delle granate, ha lasciato molti dubbi circa i risultati ottenuti nel corso della trattativa.
Ad esempio, il termine di 18-24 mesi previsto affinché Kabul possa tornare ad operare con piena responsabilità, nella gestione dei propri confini, sembra a dir poco un’ipotesi ottimistica, mentre il prospettato riassorbimento degli “insurgents” moderati all’interno delle Istituzioni Statali, appare del tutto fuori della realtà.
D’altronde, essendo i Talebani degli estremisti religiosi indottrinati al Jihad, è facile sospettare che nessuno di loro sia mai disposto a discutere seriamente – e men che meno a collaborare – con una carovana di “crociati infedeli”, per lo più invasori delle proprie terre. Riguardo agli impegni finanziari presi a tal fine dalle Potenze Alleate e che confluiranno in un “Trust Fund” dal valore di oltre 500 milioni di Euro, se mai arriveranno, rischiano di perdersi nei mille rivoli della corruzione e della malversazione, come d’uso a Kabul e dintorni.
Come se non bastasse, le minacce al tentativo di mediazione tra le opposte fazioni, giunte dai gruppi armati vicini al Moullah Omar – che hanno parlato della Conferenza come “uno strumento di propaganda che non condurrà ad alcun risultato” – preoccupano non poco le “cancellerie” Occidentali, perse dietro al conto dei rispettivi “caduti” e ai malumori di un’opinione pubblica sempre più avversa al conflitto.
Inoltre, non può dimenticarsi che recentemente la Commissione Centrale Elettorale Afghana abbia deciso di spostare, da Maggio a Settembre, la data delle elezioni politiche – ufficialmente per carenza di fondi e di mezzi, ma più probabilmente per le pressioni dei Paesi Occidentali, preoccupati che brogli e corruzione tornino a falsare il responso delle urne, come avvenuto alle ultime Presidenziali – né che Hamid Karzai abbia dovuto incassare ben due “sfiducie” per un ampio numero di Ministri designati nel suo nuovo Governo.
Nel frattempo, un solco profondissimo continua a dividere la realtà quotidiana vissuta dalla povera gente nei villaggi e quella cotonata e luccicante che fa da contorno alle Ambascerie. Ciò la dice lunga, circa la situazione d’incertezza che domina il Paese Mediorientale.
Una difficile realtà, acuita dai tentennamenti di alcuni appartenenti all’ISAF, che indeboliscono le prospettive di una soluzione rapida e risolutrice.
Se da un lato Nicolas Sarkozy ha risposto “picche” alla richiesta avanzata dalla NATO, ampiamente supportata da Barack Obama, di aumentare il contingente Francese nella regione, come ha fatto invece l’Italia – che intanto ha perduto sul campo l’agente dell’AISE Pietro Antonio Colazzo – dall’altro fa riflettere il fatto che il Governo Olandese presieduto da Jan Peter Balkenende sia “caduto” per il rifiuto di una parte della sua Maggioranza (il Partito Laburista) di prorogare la presenza dei proprio contingente, procedendo al ritiro delle truppe entro la prossima Estate, come previsto da tempo.
A complicare le mosse dei Generali, su quell’impervio scacchiere bellico, è giunta insistente la voce che anche l’Esecutivo Canadese possa vedersi costretto al “tutti a casa” nel 2011, per volere del proprio Parlamento.
Insomma, il rischio che si profila è che da qui a pochi mesi, senza l’appoggio politico e militare di Stati-chiave nella gestione delle operazioni in seno alla Coalizione, si finisca per cedere il passo alla guerriglia, senza aver stabilizzato alcunché e senza aver portato Pace, Libertà e Democrazia ad un popolo dimenticato da Dio.
E intanto, l’ombra di Al-Qaeda torna a far paura.
E’ proprio vero: la fretta è una cattiva consigliera… Sia ex ante sia ex post.
D.V.