La Storia d’Italia è fatta di fini giuristi, con indubbie capacità da statista, come Piero Calamandrei. Il presente, invece, è affidato a Matteo Renzi…
“Questa è, secondo me, la grande eredità ideale che la Resistenza, anche quando i suoi eroismi saranno trasfigurati dalla leggenda, avrà lasciato al popolo italiano come viva forza politica del tempo di pace: il senso della Democrazia; il senso del Governo di popolo: del popolo che vuol governarsi da sé, che vuole assumere su di sé la Responsabilità di governarsi, che vuol cacciare via tutti i tiranni, tutti i padroni, tutti i privilegiati, tutti i profittatori, e identificare finalmente, in una Repubblica fondata sul lavoro, popolo e Stato. Se nel campo morale la Resistenza significò rivendicazione della ugual dignità umana di tutti gli uomini e rifiuto di tutte le tirannie che tendono a trasformare l’uomo in cosa, nel campo politico la Resistenza significò volontà di creare una società retta sulla volontaria collaborazione degli uomini liberi ed uguali, sul senso di autoresponsabilità e di autodisciplina che necessariamente si stabilisce quando tutti gli uomini si sentono ugualmente artefici e partecipi del destino comune, e non divisi tra padroni e servi (…) Quando per diventare direttore di una banca, o preside di una scuola, o socio di un’accademia scientifica, o componente di una commissione di concorso universitario è necessario aver la tessera del partito che è al governo, allora quel partito sta diventando Regime: allora la Politica, che è necessaria e benefica finché scorre fisiologicamente negli uffici fatti per essa diventa, fuori di li, un pretesto per infeudare la Società a una classe di politicanti parassiti; diventa una specie di malattia paragonabile all’arteriosclerosi perché impedisce quella circolazione e quel continuo ringiovanimento della classe dirigente, che è la prima condizione di vitalità d’ogni sana Democrazia (…) Se noi siamo qui a parlare liberamente in quest’aula, in cui una “sciagurata voce” irrise e vilipese venticinque anni fa le istituzioni parlamentari, è perché per venti anni qualcuno ha continuato a credere nella Democrazia, e questa sua religione ha testimoniato con la prigionia, l’esilio e la morte. Io mi domando, onorevoli colleghi, come i nostri posteri tra cento anni giudicheranno questa nostra Assemblea Costituente: se la sentiranno alta e solenne come noi sentiamo oggi alta e solenne la Costituente Romana, dove un secolo fa sedeva e parlava Giuseppe Mazzini. Io credo di sì: credo che i nostri posteri sentiranno più di noi, tra un secolo, che da questa nostra Costituente è nata veramente una nuova storia: e si immagineranno, come sempre avviene che con l’andar dei secoli la storia si trasfiguri nella leggenda, che in questa nostra Assemblea, mentre si discuteva della nuova Costituzione Repubblicana, seduti su questi scranni non siamo stati noi, uomini effimeri di cui i nomi saranno cancellati e dimenticati, ma sia stato tutto un popolo di morti, di quei morti, che noi conosciamo ad uno ad uno, caduti nelle nostre file, nelle prigioni e sui patiboli, sui monti e nelle pianure, nelle steppe russe e nelle sabbie africane, nei mari e nei deserti, da Matteotti a Rosselli, da Amendola a Gramsci, fino ai giovinetti partigiani, fino al sacrificio di Anna-Maria Enriquez e di Tina Lorenzoni, nelle quali l’eroismo è giunto alla soglia della santità. Essi sono morti senza retorica, senza grandi frasi, con semplicità, come se si trattasse di un lavoro quotidiano da compiere: il grande lavoro che occorreva per restituire all’Italia libertà e dignità. Di questo lavoro si sono riservata la parte più dura e più difficile; quella di morire, di testimoniare con la resistenza e la morte, la fede nella giustizia. A noi è rimasto un compito cento volte più agevole; quello di tradurre in leggi chiare, stabili e oneste il loro sogno: di una società più giusta e più umana, di una solidarietà di tutti gli uomini, alleati a debellare il dolore. Assai poco, in verità, chiedono a noi i nostri morti. Non dobbiamo tradirli”. (Piero Calamandrei)
Incipit. Il dado è tratto. Com’è noto, il 26 Settembre u.s., il Consiglio dei Ministri ha deciso la data del Referendum “oppositivo”, fissando l’appuntamento con l’urna per il 4 Dicembre p.v. E sebbene la data fatidica non cada nel mese di Ottobre, come inizialmente ipotizzato, ma assai più in là – nella “Stagione Autunno/Inverno 2016” tanto desiderata dall’Esecutivo, impegnato follemente nella propria campagna promozionale – il mio obiettivo resta il medesimo. Inaggirabile, ineludibile, indifferibile… Continua a leggere »