“Il Governo quando interviene per tener bassi i salari commette un’ingiustizia, un errore economico e un errore politico. Commette un’ingiustizia perché manca al suo dovere di assoluta imparzialità tra i cittadini, prendendo parte alla lotta contro una classe. Commette un errore economico perché turba il funzionamento economico della legge della domanda e dell’offerta, la quale è la sola legittima regolatrice della misura salari come del prezzo di qualsiasi altra merce. Il Governo commette infine un errore politico perché rende nemiche dello stato quelle classi le quali costituiscono in realtà la maggioranza del Paese”. Giovanni Giolitti
Cosa si potrà mai pretendere dalla vita, quando non si abbia la benché minima certezza; quando Politica ed Economia si dimostrino un “falso legalizzato”, quando l’informazione e la conoscenza siano “indirizzate” da dozzinali “mezze verità” e da una frotta di truci menzogne e quando ciò che sia onesto, finanche giusto, dipenda puramente e semplicemente dai “punti di vista”?
C’era un tempo, affatto lontano, in cui in Italia dominava l’idea che fossimo tutti ricchi. Un tempo, nel quale ci s’illudeva di possedere, o di poter possedere in “comode rate”, tutto quanto illuminasse lo sguardo e mettesse “in pena” il portafogli e in cui si riteneva, forse a torto, forse a ragione, che la Società si fosse “imborghesita“ in toto, sia che si vestisse la “tuta blu” sia che si fosse un “colletto bianco”… Un appiattimento generale e generalizzato, figlio della moderna Economia dei consumi, destinato a soccombere sotto al peso della sua comprovata originaria falsità.
C’è un tempo, oggi, in cui parlare di “casta” non significa accusare un Potere dello Stato ed i suoi discutibili eccessi, né rammentare i casi della lontana India, ma serve a descrivere alla perfezione, la deriva della nostra Società. La sensazione assai diffusa e più o meno repressa, è quella di non avere più un futuro, né una vita. Un sentimento che frustra i pensieri di tanta gente assennata e poco incline a battere ossequiosamente le mani, a chi sbandieri velleità messianiche, regalando sogni fasulli e truffaldine promesse.
Non si sbaglia quando si tema lo spettro dello scontro sociale senza se e senza ma, ed il ritorno in auge di una lotta di classe, in chiave moderna, destinata a rinfocolare i “tizzoni” del mondo globalizzato che ci è toccato vivere. Una lotta, che anziché limitarsi a “macchiare” i libri di Storia – come ci si sarebbe potuti aspettare una volta che certe ideologie fossero state messe in soffitta – amplifichi i contrasti, ed impedisca il compimento di scelte condivise nel nome del bene comune.
E’ facile, sempre che non ci si prostri al Potere e ai Potenti, cogliere nell’aere un sentore di “lotta proletaria” che solo i nostalgici di Marx e Engels potevano ritenere sempre “pronta all’uso” in qualche parte del proprio “cuore rosso militante”.
Già, è piuttosto semplice, perché nell’immobilismo della Politica, sempre impegnata ad illudere le menti, a scansare responsabilità e a spargere livore, sempre in corsa per raccimolar quattrini, a pretendere cariche e a regalar favori, a pagare pegno sono sempre ed immancabilmente, i cittadini. Tutti, indistintamente: pro e contro, amici ed avversari, consapevoli e distratti, domati ed indomabili…
E sebbene il sentimento d’insofferenza verso i leaders – vecchi nelle idee e incapaci di risolvere i problemi – monti un po’ ovunque nel mondo, nell’Italia contemporanea pare d’esser condannati a contare i giorni nel Limbo Dantesco, persi tra il “saccheggio della cassa” e le consuete, rivoltanti, corbellerie pre-elettorali.
Mentre il Lavoro latita, l’Economia affonda, ed i Mercati continuano a cercare nuove strategie per “rapinare” i risparmiatori; mentre in Parlamento si “barattano” leggi taglia-processi, con Lodi, contro-Lodi e prescrizioni, utili solo ad evitare a un “tal qualcuno”, di veder sporcare, se non l’affatto candida coscienza, magari la propria fedina penale; il Governo presieduto da Giulio Tremonti e “griffato” Silvio Berlusconi, pare deciso a mettere seriamente in discussione il Welfare State, nel nome del rigore dei conti. Tagli al Bilancio per evitare un “default in salsa Tsatsiki”, tagli “una tantum” perché le promesse elettorali alla lunga si pagano, tagli alla cultura, tagli alla scuola, tagli alla sanità e udite, udite, un aumento (l’ennesimo) dell’età pensionabile. Ce lo chiedono la Commissione Europea, l’OCSE e il Fondo Monetario Internazionale. Per quanti avessero la memoria corta, è la solita “infima storiella” propinataci a scadenza, ogni 7/10 anni. Sarebbe una pia illusione credere che le proteste e gli scioperi che “fermano” la Francia, o i “moti sub-urbani” che incendiano l’anima dell’Ellade, siano destinati a rimanere dei casi isolati…
Di questo passo, in pochi lustri, le porte dell’assistenza, dell’istruzione, della previdenza e chissà, dei seggi elettorali, si apriranno solo ai facoltosi, riportando indietro il calendario di un paio di secoli.
E che dire della nostra Democrazia e dei Valori che rappresenta? Ogni giorno che passa, appare sempre più come una profetica leggenda. Il meccanismo è bloccato: sempre meno partecipazione da un lato, sempre meno intenti di operare un radicale cambiamento dall’altro. Si, la Democrazia… Un’idea più rivoluzionaria del Socialismo; quella che imporrebbe al Potere di soddisfare le esigenze della Comunità, è stata messa da parte, con calcolo e menzogna, per l’interessata volontà e per l’ingordo vantaggio di pochi vili personaggi. Cresce a dismisura il solco tra comandanti e comandati, così come si allarga un baratro tra ricchi e poveri.
Non v’è più etica, né equità, né onestà, solo brama di Potere e – ben oltre la retorica dei proclami di partito – se ci si guarda attorno non è difficile accorgersi che le persone, le famiglie, i lavoratori, siano sempre meno liberi e sempre più schiavi del bisogno, dell’insofferenza, della disperazione e dei debiti. Insomma, di un’ipoteca sul domani… E non mi riferisco certo al fatto che, comunque vada, ogni Italiano “nasca” già con una “pendenza tributaria” nei confronti dell’Agenzia delle Entrate.
Per il Sistema è vantaggioso che i lavoratori, operai o impiegati che siano, vivano una “vita di pagherò”, in un crescendo di stenti e di commiserazione per ciò che potrebbe essere e non è. Chi si demoralizza guarda altrove, si distacca dalla Politica, non vota più e non mette a rischio lo “status quo”. Se la massa fosse davvero in grado di porre propri Rappresentanti al Vertice dell’Ordinamento, così da salvaguardare realmente i propri interessi, un Rivoluzione Democratica sarebbe a portata di mano. Ma questo, purtroppo per noi, è ciò che a “Palazzo” non vogliono. Meglio evitare che i cittadini facciano fronte comune e che si convincano sul serio, che qualcosa possa cambiare. Meglio che si contrappongano, che si combattano e che si contendano le briciole.
Se è vero che per controllare una Nazione vi siano due strade, ovvero terrorizzarla e demoralizzarla, io ne aggiungerei una terza: dividerla al suo interno. Un popolo unito, fiero e fiducioso – di fatto “non controllabile”, perché imprevedibile – non si farebbe alcun problema a mandare a casa, attraverso le urne o a “randellate”, degli Amministratori inetti e dediti alla malversazione aggravata continuata.
E’ forse normale che le fasce più deboli della Società siano quelle cui sempre si chieda di stringere la cinghia e di sopportare i sacrifici, ed alle quali non resti che sperare di azzeccare la mirabolante “sestina vincente” e scappare altrove, oltre-confine? E’ forse normale che i più agiati siano sempre col cappello in mano a chiedere tagli di tasse, “scudi fiscali” e sanatorie varie?
E’ forse normale che decine di aziende, addirittura Multinazionali, minacciando di chiudere i battenti, recedano unilateralmente dai contratti di categoria, impongano drastici tagli salariali e pretendano maggiore produttività ai dipendenti, giusto per vedersi assegnare degli aiuti di Stato mascherati, che consentano loro di “socializzare” le perdite, mentre magari i rispettivi Managers continuino a spassarsela tra ville, barche, aerei privati, “escort” e champagne?
Pensate al mondo del lavoro ed alla sua crescente precarietà, nel nome della competitività e dell’imprenditoria predatoria. Pensate al destino infame che tocchi talvolta chi, anziché morire dopo una vita di lavoro, finisca per morire sul lavoro. Pensate alla volontà di far carta straccia dello Statuto dei Lavoratori – giusto in tempo per festeggiarne il quarantesimo genetliaco – allo scempio dei diritti, accordati a costo di sacrifici personali e battaglie sindacali.
E perché no, pensate ai Sindacati. Moderne corporazioni i cui rappresentanti, nella maggioranza dei casi, non si battono più per difendere i propri rappresentati, o per allargare la base delle tutele, ma sono sempre disponibili a chinare il capo e a dire si, innanzi al padrone, oltreché a scaldare sedie.
Ci si stupisce e addirittura ci s’indigna se la gente – stanca e “usurata” da anni di “chiacchiere” puerili e senza scopo, di interviste a senso unico e senza contraddittorio e di pacche sulle spalle che non nutrono, né rinfrancano – esca di casa e gridi tutta la sua rabbia in faccia al “pinco pallino” di turno, imbellettato, strafottente e tronfio. Senatore della Repubblica o Sindacalista “confindustriale” poco cambia. Oramai, al cospetto di taluni cervelli ottusi e compiacenti, non c’è dialogo che tenga.
Per raddrizzare schiene ricurve e penitenti serve il “dono del bastone”, non certo una carota.
E siccome dopo tutto, a contare è la sostanza e non la forma: “Avanti oh Italia, lotta continua, o muori”!
D.V.