Incipit. “Dalle guerre mi ritenevo vaccinata, e in sostanza lo sono. Niente mi sorprende più. Neanche quando mi arrabbio, neanche quando mi sdegno. Però alle guerre io ho sempre visto la gente che muore ammazzata. Non l’ho mai vista la gente che muore ammazzandosi, buttandosi senza paracadute dalle finestre d’un ottantesimo o novantesimo o centesimo piano. Hanno continuato a buttarsi finché, una verso le dieci, una verso le dieci e mezzo, le Torri sono crollate e… Sai, con la gente che muore ammazzata, alle guerre io ho sempre visto roba che scoppia. Che crolla perché scoppia, perché esplode a ventaglio. Le due Torri, invece, non sono crollate per questo. La prima è crollata perché è implosa, ha inghiottito sé stessa. La seconda perché s’è fusa, s’è sciolta proprio come se fosse stata un panetto di burro. E tutto è avvenuto, o m’è parso, in un silenzio di tomba” (cit. Oriana Fallaci).
C’è sempre qualche ricorrenza a rimembranza ed omaggio di un capitolo più o meno chiuso del passato. In Italia ne abbiamo a bizzeffe e spesso pare che vadano avanti soltanto per forma, con un automatismo istituzionale fasullo che di rado riesce a dare davvero un senso al ricordo. Ce ne sono altre, in aggiunta, che pur non riguardano direttamente il nostro Paese, non possono non riguardarlo per lo scioccante clamore e per le conseguenze nefaste che abbiano avuto sul mondo intero.
“Never forgive, never forget”. Gli eventi e gli avvenimenti della Storia si mostrano sempre a due categorie di spettatori: quelli contemporanei e spesso protagonisti partecipi degli stessi, e coloro che, pur nell’immediato o più spesso dopo un tempo che proprio in quanto Tempo sfugge via verso l’infinito, ne sentano parlare e si lascino raccontare. Ubiquità trasfigurativa. Oggi, 11 Settembre 2001/2021, io “ci sono”… Già, io ci sono, perché “io c’ero”, “io ci fui”, “io vidi”, non sono contemplati: non renderebbero giustizia né sarebbero in grado di rappresentare cosa davvero sia (stato) “NY 9/11”. La mia anima è ancora lì, davanti alla TV, incredula, atterrita, inerme, spaventata dalla peggiore assurdità hollywoodiana realizzatasi. Vent’anni dopo rammento perfettamente dove io sia/fossi e cosa stia/stessi facendo: sono/ero militare, aviere della nostra Aeronautica Militare. A casa grazie al “permessino”, mi rilasso/rilassavo con alcune facce amiche nella palestra che al tempo frequentavo. Ancora stordito dagli accadimenti televisivi legati al G8 di Genova di qualche settimana prima, in tempi in cui la maledetta era dei social networks non era ancora cominciata, la quasi annoiata routine dell’allenamento di punto in bianco si strazia dall’apparizione, sull’unico televisore presente in sala attrezzi, di un’edizione straordinaria del TG2, in cui le immagini parlano subito da sole… Da una delle due Torri Gemelle, all’altezza dei suoi tre quarti, si leva una colonna di fumo grigio. Si parla di un incidente aereo. “Di nuovo le Twin Towers”, penso tra me e me, memore di un attentato dinamitardo del 1993. Ciò, quasi a voler escludere immediatamente l’idea una disgrazia aerea. E difatti, lo stupore del momento, mischiato a una certa iniziale dose di “disinteresse di ritorno” si fa terrore, nell’attimo in cui un secondo aereo trafigge l’altra torre. È tutto calcolato; è tutto voluto… È terrorismo.
Mentre resto con lo sguardo fisso, vedo volare persone… Persone senza via di fuga che si lanciano dai grattacieli in fiamme. Mi manca il fiato; mi mancano le parole… È orribile. Provo ad immaginare alla folle considerazione di chi, ormai di fatto condannato a morte, abbia pensato: “Meglio provare… Meglio imparare a volare che bruciare vivi”… Magari dopo aver telefonato a casa, per un ultimo saluto ai propri cari… E allora comincio a non sentire più la terra sotto ai piedi. New York City in fiamme; gente che muore; gente che fugge; notizie di altri aerei dirottati che si rincorrono; spazio aereo chiuso nei cieli degli Stati Uniti… Agenzie di stampa impazzite. Il centro del potere del mondo colpito al cuore, in maniera inattesa e senza alcuna contromisura preventiva messa in atto da qualche Agenzia Governativa o Base Militare della nazione che avevo imparato a conoscere come “sceriffo del mondo”.
Vorrei premere il tasto Rewind, se soltanto la vita fosse un nastro analogico, invece posso soltanto assistere allo scorrimento veloce: Forward… Prima ancora che nascesse il complottismo da tastiera; prima che si considerasse e attecchisse l’idea che la Democrazia potesse essere esportata e trapiantata; prima ancora della guerra preventiva; prima ancora dei pompieri e dei poliziotti eroi; prima ancora che si palesasse il groviglio politico-affaristico di Bush, Cheney, Rumsfeld & Co.; prima delle bugie sulle Armi di distruzione di massa; prima della caccia a Bin Laden; prima della guerra in Afghanistan e, a seguire, dell’invasione dell’Iraq; prima… Prima c’era un mondo “prima dell’undici Settembre”. Poi ci fu, ovvero c’è un mondo “dopo l’undici Settembre”. Sono ancora qui: voglio spegnere la TV; voglio che tutto si riveli soltanto un brutto sogno; voglio sapere che quelle due meravigliose colonne di cemento ed acciaio si staglino ancora nei cieli del quartiere degli affari della “Grande Mela”… Voglio soltanto tornare ad allenarmi… “Never forgive, never forget”.
D.V.